Homepage > Principale > NEWS > Come la pandemia ha cambiato…

Come la pandemia ha cambiato il mondo del lavoro

La disoccupazione globale rimane elevata nel 2021, così come la mancanza di personale in alcuni ambiti. La diffusione del vaccino anti – Covid resta un elemento chiave, ma revisione dei salari e maggiore flessibilità del lavoro saranno cruciali per colmare questo gap. Proponiamo la traduzione di un interessante articolo di Deloitte, con un’approfondita analisi del mercato del lavoro statunitense e alcune riflessioni valide globalmente. 


Con la piena ripresa delle attività, le segnalazioni delle aziende che faticano a trovare il personale di cui hanno bisogno sono aumentate globalmente, soprattutto negli Stati Uniti, in Regno Unito, Canada, Australia e alcuni Paesi europei. 


E’ un fenomeno che si verifica periodicamente, ma stavolta l’elemento di novità è che sembra coincidere con alti tassi di disoccupazione. Negli Stati Uniti il numero di offerte di lavoro è aumentato del 33% dal quarto trimestre del 2019, eppure più di 9 milioni di persone sono rimaste disoccupate. In Canada, il tasso di posti vacanti ha raggiunto il livello più alto dal 2015, mentre l'occupazione è rimasta ben al di sotto del suo picco prepandemico. 


Con un gran numero di persone non occupate, le aziende dovrebbero avere più facilità ad assumere personale. La pandemia però ha radicalmente modificato le aspirazioni dei lavoratori in termini di settori e ambienti di lavoro, così come le politiche delle imprese, e ciò rende non più applicabili i paradigmi con cui sono state interpretate analoghe situazioni nel passato. 
 

La concorrenza tra i settori 

La pandemia è stato un fenomeno dirompente per il mercato del lavoro. Negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione è salito ad un livello record del 14,8% nell'aprile 2020 prima di scendere a un 5,9% ancora elevato nel giugno 2021. Un sondaggio condotto a marzo ha mostrato che addirittura il 20% dei lavoratori statunitensi ha cambiato occupazione durante la pandemia. La ripresa irregolare dell’economia e i cambiamenti nelle preferenze dei consumatori hanno contribuito alle difficoltà che i datori di lavoro stanno incontrando nel trovare candidati qualificati.


Durante la pandemia i lavori che potevano essere svolti a distanza sono continuati, mentre quelli che richiedevano l’interazione personale sono in gran parte scomparsi. I neo disoccupati hanno cercato posto nelle poche industrie che stavano assumendo attivamente, cambiando spesso professione e settore. Negli Stati Uniti, almeno 1,7 milioni di lavoratori del comparto del tempo libero e dell'ospitalità che hanno perso il lavoro dal quarto trimestre del 2019 hanno trovato occupazione in un settore diverso o hanno scelto di rimanere inattivi, rendendo molto più difficile per i datori di lavoro trovare candidati con l'esperienza richiesta. Un sondaggio condotto da Deloitte a gennaio di quest’anno ha mostrato che due terzi dei disoccupati stavano "considerando seriamente di cambiare occupazione o settore" e un terzo aveva già iniziato a riqualificarsi per farlo.


Ora che l’economia è in decisa ripresa, la domanda nell’ambito dei servizi alla persona (come il settore dell’ospitalità) è in aumento, e di conseguenza i potenziali posti di lavoro. Parallelamente, grazie in parte al consistente stimolo del governo americano, i comparti produttivi e dei servizi tecnici hanno ottenuto risultati relativamente buoni nell’ultimo anno e mezzo, perciò hanno continuato ad assumere e continuano tuttora. Qualche esempio: le offerte di lavoro negli Stati Uniti nel settore manifatturiero sono più che raddoppiate rispetto ai livelli prepandemici; nel settore manifatturiero nel Regno Unito i posti vacanti sono superiori del 30% rispetto a un anno e mezzo fa e gli occupati nei servizi professionali, scientifici e tecnici canadesi sono aumentati del 33,4%. La forte domanda di lavoratori sta mettendo questi settori in competizione tra loro, mentre i potenziali candidati hanno più scelta e quindi opportunità di ripensare la propria carriera.   

Rischio di contagio e appetibilità del lavoro 


L'aumento del rischio di contrarre il Covid-19 ha reso alcune professioni più rischiose di altre e di conseguenza le aziende di questi settori troveranno più difficile attrarre forza lavoro mantenendo i livelli di stipendio prepandemici. Ad esempio, le tariffe salariali dei lavoratori dei servizi ristorativi potrebbero aumentare, considerando che i cuochi hanno registrato un aumento del 60% della mortalità nel 2020 rispetto ai periodi non pandemici. Se non ci saranno adeguamenti, è molto probabile che i non occupati saranno più attratti da lavori a basso rischio, in particolare quelli che possono essere svolti a distanza. Per alcune persone poi il rischio di malattia è un impedimento ad entrare nel mondo del lavoro. Un sondaggio condotto a giugno 2021 ha rilevato che poco più di 3 milioni di americani erano disoccupati proprio a causa della paura di contrarre il Covid. 
 

Le politiche che rallentano la riallocazione dei lavoratori 


Durante la pandemia il governo degli Stati Uniti ha previsto generosi sussidi di disoccupazione, e il loro permanere potrebbe essere un disincentivo per alcuni americani attualmente non occupati ad accettare un posto di lavoro. La Federal Reserve Bank di San Francisco (e similmente altre fonti) sostiene tuttavia che questi benefit abbiano avuto solo un effetto modesto e stima che la quota di disoccupati che accetterebbero un'offerta di lavoro è scesa dal 25% prepandemico all’attuale 21,4%.  


La maggior parte dei paesi sviluppati al di fuori degli Stati Uniti ha scelto di proporre programmi di lavoro a tempo determinato o a orario ridotto invece dei sussidi di disoccupazione, politiche progettate per preservare il rapporto datore di lavoro-dipendente (come la cassa integrazione in Italia). Questa si è rivelata una scelta vincente per quelle industrie che sono state in grado di aumentare la produzione quando i primi blocchi sono terminati nel 2020.

Tuttavia, dati i cambiamenti nell'economia, potrebbe essere necessario riallocare i lavoratori in diversi settori, il che si rivelerà difficile se sono ancora legati al datore di lavoro iniziale. Nel Regno Unito, all'inizio di giugno 2021, circa 1,5 milioni di dipendenti era ancora in una situazione “sospesa”, il cui termine è previsto per la fine di settembre, quando gioco forza il processo di riassegnazione sarà inevitabile.

Una nuova geografia del lavoro 

Negli ultimi due anni è cambiata anche la geografia del mondo del lavoro. Nonostante molte persone a causa della pandemia abbiano deciso di trasferirsi, la maggior parte di questi spostamenti si è verificata su distanze relativamente brevi. Ad esempio, nel Regno Unito, il raggio medio di ricerca degli acquirenti di case è aumentato di appena 1 miglio (da 9 a 10 miglia) rispetto al 2019. Negli Stati Uniti, il bilancio dei flussi di trasferimento in periferia piuttosto che nelle aree metropolitane non è variato molto, ma mentre prima della pandemia gli abitanti dei sobborghi si sarebbero comunque recati nel quartiere centrale degli affari, oggi con le modalità di remote working restano in periferia, rendendo più complicato trovare professionisti disposti a spostarsi nella city. 


Anche l'immigrazione internazionale si aggiunge ai problemi della carenza di manodopera. La sfida più grande è nel Regno Unito, dove la Brexit ha notevolmente limitato per i lavoratori dell'UE la capacità di arrivare nel paese. Durante la pandemia se ne sono andati circa 1,3 milioni di lavoratori non britannici, ovvero circa il 4% della forza lavoro. A peggiorare le cose, molti di questi lavoratori erano concentrati in una manciata di settori, come quello dell’ospitalità e dei servizi di ristorazione, che hanno iniziato a riaprire solo di recente e si ritrovano dunque senza personale. 


Anche altri paesi stanno affrontando sfide simili, seppure in scala minore. In Canada, la migrazione internazionale è diminuita di quasi 400.000 unità nell'anno fino al primo trimestre del 2021, il che equivale a una perdita di quasi il 2% della forza lavoro. In Australia, la popolazione è diminuita per la prima volta in un secolo, a causa delle chiusure dei confini e delle limitazioni all’immigrazione. 

La revisione dei salari 


Fondamentale per la ripresa del lavoro in qualsiasi settore sarà la diffusione dei vaccini. 
Al di là di questo, l’articolo di Deloitte suggerisce che – come rimedio alla carenza di forza lavoro - le aziende investano in tecnologie, attrezzature e software che permettano di ottimizzare la produttività delle risorse esistenti. In tale direzione alcune sperimentazioni nel settore manifatturiero negli Stati Uniti stanno già dando ottimi riscontri. 


Sicuramente una revisione al rialzo degli stipendi aiuterà ad attrarre più candidati. Naturalmente ciò si tradurrà in una riduzione dei profitti o in un rialzo dei prezzi alla clientela, ma in molti casi sarà l’unica strada percorribile. Al momento, tuttavia, la crescita dei salari in alcuni settori, come il manifatturiero, appare bassa rispetto alla tensione osservata nel mercato del lavoro. Ad esempio, i posti vacanti nel settore manifatturiero nel Regno Unito sono più numerosi di quanto non fossero prima della pandemia, ma la crescita salariale è stata in media solo dell'1,8% negli ultimi due anni, che è considerevolmente inferiore alla crescita osservata prima della pandemia. Similmente, l’aumento dei salari nel settore minerario e manifatturiero del Canada è stato particolarmente debole, nonostante la carenza di forza lavoro.


Non esiste un'unica soluzione per le sfide che le aziende stanno affrontando nel mercato del lavoro. La situazione potrebbe diventare più semplice man mano che aumenta la diffusione dei vaccini e dunque alcune professioni tornano a un più basso livello di rischio, ma è probabile che alcuni dei fenomeni innescati dalla pandemia siano solo all’inizio.