Nei giorni scorsi la Fondazione Italia Cina ha diffuso una serie di dati e statistiche riguardanti la Cina e le performance prodotte nel 2021.
Il dato che è stato maggiormente evidenziato riguarda l’incremento del tasso di crescita del Pil, che lo scorso anno ha registrato un +8,1%. Sebbene si tratti della migliore performance in assoluto dell’ultimo decennio, tuttavia va rapportata al 2020, probabilmente l’anno più complesso della storia moderna per tutte le economie del mondo, e dunque richiede un ulteriore approfondimento.
Come spiega la Fondazione Italia Cina, sommando la crescita del Pil medio riscontrata nel 2020 - pari al 2,2% - a quella dello scorso anno, si ricava un dato pari al 10,3% di incremento nel biennio. Dividendolo per due, la crescita media è stata del 5,15% in due anni. Considerando che nel 2019 l’incremento del Pil è stato del 5,9%, il valore medio del 5,15% conferma quindi una tendenza generale che si sta verificando in questi ultimi anni, vale a dire un rallentamento della crescita economica cinese, a prescindere dal perdurare della pandemia. Tendenza al ribasso del Pil che dovrebbe proseguire anche nel 2022, tenendo conto del fatto che le stime dei più importanti osservatori economici internazionali indicano una previsione di crescita in un range compreso tra il 4,3 e il 5,2%.
Secondo la maggior parte degli analisti la Cina dovrebbe mantenere un tasso annuo minimo del +6% per garantire una crescita socialmente stabile. Al giorno d’oggi l’economia cinese è maggiormente prospera e matura rispetto a prima, ma la sua complessa infrastruttura manca infatti ancora della flessibilità e di una maggiore diversificazione che consente alle economie occidentali di gestire e assorbire tassi di crescita più ridotti. Tuttavia, sulla base dei nuovi equilibri mondiali – sconvolti due anni fa dal Covid – secondo la Fondazione è probabile che il criterio di analisi, per poter essere maggiormente attendibile, debba essere spostato verso altri parametri che prendano maggiormente in considerazione fattori differenti come il commercio e soprattutto i consumi interni, che il Governo cinese ha indicato come fattore guida per una trasformazione economica già in atto.
Stando alle recenti statistiche dell’Ufficio delle Dogane cinesi, nel 2021 la Cina è stata artefice di una robusta performance sul fronte del commercio internazionale, con le esportazioni cresciute del 29,9% rispetto al 2020 e le importazioni del 30,1%. Nel mese di dicembre le esportazioni sono risultate più elevate del 20,9% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, attestandosi su 340,5 miliardi di dollari. Le importazioni sono aumentate del 19,5% per cento, arrivando a 246,03 miliardi di dollari. Le esportazioni quindi nel 2021 sono aumentate in maniera decisa tanto che il surplus commerciale stimato per l’anno è di 676 miliardi di dollari.
Altro dato significativo è quello relativo alla ripresa degli investimenti stranieri nel Paese: secondo il Ministero del Commercio cinese, nel 2021 gli investimenti esteri effettivamente utilizzati hanno superato quota 1100 miliardi di RMB, segnale che la Cina è tornata ad essere considerata destinazione privilegiata per quanto riguarda progetti di medio/lungo termine.
L’analisi della Fondazione si conclude con un’ultima riflessione riguardante il tasso demografico della potenza orientale. Il numero di nuovi nati per il 2021 è stato di 10,62 milioni di individui (contro 10,14 milioni di morti), il numero più basso di nascite nella storia della Cina moderna. Nonostante un massiccio piano di incentivi finanziari rivolti alle coppie per spingerle ad avere più figli, si è registrato un calo più marcato del previsto, a conferma che tale problema è stato affrontato con almeno un paio di decenni di ritardo. Un ulteriore fattore che potrebbe condizionare il futuro del paese nei prossimi anni.