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Il futuro energetico della Cina, tra crisi elettrica e piani per la carbon neutrality

La Cina è il maggior consumatore di energia primaria al mondo, con circa 3.200 Mtoe (Milioni di tonnellate equivalenti di petrolio). Il carbone ancora rappresenta circa il 57% del mix energetico cinese, seguito dal petrolio a circa il 20%, il gas naturale all’8%, l’idroelettrico attorno al 3% e le rinnovabili (eolico, solare, biomasse) sotto il 3%. Inoltre, la produzione di energia elettrica è di circa 7.500 TWh, con il carbone che rappresenta circa il 62% del totale, l’idroelettrico il 17%, altre rinnovabili (eolico, solare, geotermico) l'11%, il gas naturale circa il 2,5%, e il nucleare su valori prossimi al 4,5%. 

Da questi dati emerge come sebbene la Cina sia il Paese con la più alta produzione al mondo di energia elettrica rinnovabile e la crescita di nuovi impianti (soprattutto eolico e solare) sia la più alta al mondo, la quota di rinnovabili sia ancora modesta, escludendo l’idroelettrico. 

Nonostante i grandi sforzi fatti da Pechino negli ultimi decenni per aumentare l’efficienza energetica, l’intensità energetica (ovvero la quantità di energia primaria necessaria per produrre un punto di Pil) della Cina è circa 1,7 volte quella della media europea e circa il doppio dei Paesi manufatturieri più efficienti (ad esempio l’Italia). La Repubblica popolare, inoltre, è il Paese che genera le maggiori emissioni serra (CO2, CH4, etc.) con circa 10.000 MT Co2 equivalenti all’anno e l’intensità emissiva (quantità di emissioni per produrre un punto di Pil), che segue l’andamento dell’intensità energetica, la pone a circa il doppio della media europea e 2,3 volte rispetto ai Paesi più green.

In questo contesto energetico di dimensioni enormi, con forti sbilanciamenti di sviluppo industriale, economico e sociale – si pensi alla diversità di livelli di sviluppo e densità industriale tra Nord, Est, Ovest - la Cina sconta ancora il modello centralistico di produzione dell’energia elettrica che vede grandi impianti (soprattutto carbone) dislocati nel Paese e una rete elettrica inefficiente e poco flessibile a causa di questo sistema incentrato sul carbone e su altre fonti inflessibili (idroelettrico, nucleare), a differenza dei modelli distribuiti adottati dai Paesi più avanzati. Alla rigidità sistemica si aggiunge la bassissima presenza di impianti cogenerativi (calore ed elettricità) e la modesta quota degli impianti a gas naturale che determinano una maggiore flessibilità nel sistema, oltre che alla mancanza di sistemi di immagazzinamento dell’energia (calore).

Lo sviluppo delle fonti rinnovabili (eolico e solare), nonostante negli ultimi anni sia stato impressionante per la sua crescita, avviene in questo contesto di rigidità sistemica che comporta spesso il distacco degli impianti dalla rete (curtailment) con perdita di efficienza anche da un punto di vista di allocazione del capitale.

Gli sforzi fatti per rendere l’intero sistema elettrico cinese più flessibile attraverso tecnologie di trasporto dell’energia elettrica su lunga distanza (Ultra High Voltage) non hanno portato i vantaggi attesi, per l’estrema complessità della tecnologia e per problemi di diversa natura tecnica nel contesto del rigido sistema cinese. Pertanto, la Cina si è trovata a dover affrontare la profonda trasformazione industriale in corso da diversi anni - anche per ragioni di protezione ambientale - e le discontinuità delle dinamiche economiche portate dalla pandemia, in un contesto di sistema energetico poco flessibile, rigido, non più adeguato alle prospettive di sviluppo industriale della Repubblica popolare.

Gli impegni presi dal Presidente Xi di raggiungere il picco di emissioni nel 2030 e raggiungere la carbon neutrality entro il 2060 sono avvenuti in un momento già complesso per il sistema energetico cinese, non pronto ad affrontare le sfide prospettiche della decarbonizzazione. Il Quattordicesimo Piano Quinquennale (2021-2026) già fissa degli obiettivi di riduzione di intensità energetica (-18%) e di emissioni (-14%) nel quinquennio. Sebbene fossero attesi target più ambiziosi e articolati (ad esempio, nel mix energetico), già questi obiettivi hanno introdotto pressioni enormi agli enti governativi nazionali e locali che hanno visto assegnate soglie annuali di riduzione delle emissioni e intensità energetica già dal 2021.

Nel contesto già complesso di rigidità e sbilanciamento supply/demand del sistema di produzione/trasmissione/consumo di energia elettrica e di accelerazione della transizione energetica, la chiusura di diversi impianti a carbone, la chiusura di miniere di carbone a fronte di normative ambientali più rigide, dinamiche di prezzi di mercato del carbone e gas naturale cresciuti in modo discontinuo, ripresa economica cinese post pandemia e discontinuità nei sistemi di trasporto navali e dinamiche portuali, aumentata attenzione alla sicurezza nazionale in merito alle fonti energetiche, hanno portato il sistema elettrico ad un livello di stress mai registrato in precedenza. 

Lo stress del sistema elettrico cinese ha iniziato a dare i suoi primi segnali nel giugno 2021, poi rientrati in luglio, ripresi in agosto ed esplosi alla fine di settembre. Nelle ultime settimane le interruzioni “forzate” e senza preavviso di fatto coinvolgono tutte le province cinesi e quasi tutti i settori industriali, inclusi quelli critici per garantire servizi di base essenziali (tra cui la produzione di gas medicali). Questo sta avvenendo apparentemente in modo non pianificato, comportando distacchi dalla rete elettrica senza preavvisi o con preavvisi di alcune ore, limitazioni nella potenza disponibile, limitazioni dell’energia assorbibile su diverse fasce orarie, e altri problemi. La mancata pianificazione dei distacchi introduce enormi inefficienze nei sistemi produttivi che si vedono obbligati a installare sistemi di generazione elettrica alternativi (per lo più alimentati a gasolio) che aumentano le emissioni, ad aumentare gli scarti, a ridurre la produttività, a rivedere i piani di produzione, e altro ancora. In alcuni casi le interruzioni improvvise hanno generato problemi di Health & Safety in impianti critici con ricadute sulla sicurezza dei lavoratori. 

Altrove le interruzioni intervengono in piccoli segmenti della catena logistica ma che poi riverberano il loro effetto in modo incontrollato (ad esempio automotive, terre rare, etc.) comportando enormi inefficienze, backlogs, out of stocks, spesso anche imponendo sostituzioni di forniture non collaudate. 

Nonostante le rassicurazioni sulla natura temporanea del fenomeno delle interruzioni elettriche, è difficile poter fare delle previsioni attendibili sia per il contesto generale del sistema energetico sia per le condizioni di politica industriale locali. In ogni caso, la crisi attuale è un fortissimo segnale che si spera possa essere colto dal Governo centrale cinese per avviare una profonda riforma dell’intero sistema e modello elettrico che necessita di un profondo ammodernamento in termini di bilanciamento supply/demand, maggiore flessibilità, maggiore trasparenza, adeguamento delle tariffe ai costi reali, rafforzamento dei sistemi di regolazione, rafforzamento e trasparenza degli scambi tra province. 

La complessità del problema e delle soluzioni impellenti lasciano immaginare riforme strutturali solo a medio/lungo termine, mentre nel breve ci si augura una pianificazione più attenta delle forniture elettriche e una accelerazione della trasformazione del mercato elettrico in ottica di apertura, trasparenza, efficienza.

 

Articolo di Guido Giacconi, Coordinatore Gruppo di Lavoro Energia e Ambiente della Fondazione Italia China, pubblicato in Global Watch ISPI – estratto da Speciale Geoeconomia numero 73