La perdurante situazione di hard market, unita alle criticità introdotte dalla pandemia, ha creato un contesto che spinge le aziende a cercare soluzioni alternative per gestire, finanziare e assicurare i propri rischi.
La European Risk Management Survey di Ferma ha rilevato nel 2020 un incremento nelle scelte di Risk Retention e, in particolare, una decisa diffusione delle captive, per cui ha optato il 43% dei Risk Manager europei (contro il 15% della rilevazione precedente). Secondo il Captive Report 2020 di Commercial Risk Europe, documento che riporta le opinioni delle imprese europee sull’attuale situazione del mercato assicurativo e sulle opzioni innovative di gestione dei rischi, l’87,5% delle organizzazioni prevede di gestire più rami di business tramite una captive nel prossimo futuro.
E’ uno strumento che si adatta a imprese di diverse tipologie e dimensioni, e a differenti tipi di rischi, a patto però di avere una strategia a lungo termine e di conoscerne gli aspetti fiscali e gli oneri di compliance nei confronti delle Autorità di Controllo. Ne parla Enrico Guarnerio, CEO Strategica Group.
Partiamo dai dati dei report: quali sono i motivi che spingono sempre più aziende a considerare soluzioni captive?
Le problematiche principali di partenza sono due: l’inasprimento del mercato assicurativo, e il fatto che alcuni rischi emergenti non trovano possibilità di collocamento sul mercato. Le captive sono una tipologia di soluzione che presenta per le grandi imprese una serie di vantaggi, tra cui un maggiore controllo sulla gestione e sul finanziamento del rischio, l’autonomia nel controllo delle perdite e delle strategie di mitigazione dei sinistri. Tutti questi aspetti fanno ritenere che le soluzioni di autoassicurazione potranno restare rilevanti anche quando il mercato tornerà ad avere migliori condizioni di sottoscrizione. Va infatti considerato che si tratta di soluzioni che richiedono scelte strategiche a lungo termine per utilizzarne i vantaggi assicurativi e finanziari nel lungo periodo. Se un’azienda ritiene che il proprio profilo di rischio non sia cambiato, ma si trova a dover comunque far fronte a crescenti costi per il suo trasferimento, avendo la capacità finanziaria per farlo opterà per trattenere un rischio maggiore, e le captive risultano essere il mezzo più adatto.
Qual è il momento giusto per creare una captive?
È un tema che torna in auge ogni volta che i mercati diventano hard, quando le imprese devono far fronte a difficoltà di ottimizzazione della spesa assicurativa piuttosto che di collocazione dei propri rischi. La verità è che, anche tenendo conto del fatto che l’alternanza di periodi di soft e hard market è tradizionalmente ciclica, le tematiche di ritenzione vanno considerate ex ante, quando i mercati sono soft: è quello il momento in cui bisogna approfittare per creare accantonamenti, è quello il momento in cui si comincia a costruire la resilienza di un’azienda tramite strumenti di autofinanziamento del rischio.
Come è cambiato questo settore negli anni?
Oggi è un ambito estremamente più complesso e tecnico rispetto al passato. Se fino a 20 anni fa era ipotizzabile creare una captive per motivi semplicemente contabili o amministrativi, oggi non è più un processo così semplice. Ci deve essere alla base un approccio di risk management, e questo impone una serie di passaggi approfonditi di analisi e valutazione, per arrivare ad accantonamenti graduali che portino l’azienda ad aumentare la tolleranza al rischio nel tempo, e quindi di conseguenza a reagire meglio ai futuri andamenti del mercato. Quando un’azienda approccia la tematica del finanziamento del rischio, deve cominciare innanzitutto a chiedersi qual è il costo atteso del rischio, che non è la media dei sinistri registrati negli anni, ma dev’essere individuato utilizzando metodologie quantitative e metodi di calcolo indicati anche in Solvency II. Spesso oggi si vede una ritenzione eccessiva sulle fasce basse di rischio, e una occulta sulle fasce alte, senza che sia ben chiaro su quali basi sia stata calcolata. Il mercato non può essere un punto di riferimento, soprattutto oggi che le forbici dei costi sono estremamente ampie. Un’azienda deve poter dimostrare di aver applicato metodologie quantitative, valutazioni attente del valore del rischio, e sulla base di queste aver scelto le allocazioni. A questo punto è anche in grado di giustificare il tutto alle autorità fiscali.
Qual è la dimensione in termini di premi che può giustificare il ricorso a una captive o che comunque lo rende efficiente rispetto ai suoi costi di gestione? E’ una soluzione adatta ad aziende di qualsiasi dimensione?
Per rispondere bisogna partire dalla distinzione di due aree di rischi sottoscrivibili da una captive. La prima riguarda i programmi tradizionali (ad esempio property, liability, marine) per cui il mercato ha diverse soluzioni assicurative. La seconda riguarda i rischi tradizionalmente non assicurati, come il rischio credito, il rischio reputazione, il cyber, la business interruption. Se l’obiettivo di un’azienda è dotarsi di una captive per gestire i primi, è necessario che parta da una dimensione abbastanza importante in termini di premi sottoscritti (volume intorno ai 3 / 4 milioni), per fare una valutazione di quanto di questi vuole ritenere, arrivando ad un volume di ritenzione che non sia inferiore a 1 milione di euro di premi. Di conseguenza direi che una captive di questo tipo è appannaggio di aziende con qualche miliardo di fatturato. Se invece si parla di rischi non assicurati, non tradizionali, si può partire da un volume di premi tra i 700.000 € e 1 milione di €, quindi verosimilmente parliamo di aziende che hanno un fatturato annuale da 400/500 milioni di € in su.
Quali sono oggi i principali domicili delle captive?
Un’azienda italiana dovrebbe preferibilmente scegliere un domicilio interno all’Unione Europea, perché in altre aree incontrerebbe complicazioni rilevanti dal punto di vista fiscale. I domicili più scelti sono Lussemburgo, Irlanda e Malta. Il primo, soprattutto per chi crea captive con un’ottica di risk management, sta registrando l’incremento maggiore: ha un’imposta sull’utile alta (sfiora il 30%) ma permette la sospensione d’imposta, per cui gli utili non vengono distribuiti ma nemmeno tassati e questo consente un’accelerazione della creazione di liquidità per finanziare il rischio, e quindi la captive ha possibilità di crescere più velocemente tramite creazione di riserve. L’Irlanda ha negli ultimi anni vissuto rallentamenti nel rilascio di autorizzazioni e nelle valutazioni di compliance, aspetti su cui il Lussemburgo è ad oggi più flessibile (anche se il grande aumento delle richieste sta rallentando leggermente i tempi anche in questo paese). Tenendo conto di tutto il processo – presentazione dossier, business plan, presentazioni e discussioni, rilascio delle autorizzazioni – mediamente oggi servono 3 mesi per avviare una captive in Lussemburgo, e tra 6 e 9 mesi in Irlanda.